domenica 23 novembre 2008

"Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi"


Ho appena letto la recensione di papa Benedetto XVI al libro di Marcello Pera (attuale senatore ed ex presidente del Senato). Non so se dirmi più sconcertato o disgustato. Già il titolo che Corriere.it ha deciso di scegliere per la recensione è emblematico: "Il dialogo tra le religioni non è possibile. La fede non si può mettere tra parentesi".

Citerò i passi che ritengo "emblematici", aggiungerò un breve commento e lascierò che vi facciate la vostra idea (non ho velleità da pensiero unico, io...):

-
"Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale. Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale."
Come dire "ma che multiculturalità???", la chiave è una cultura predominante e illuminata (non a caso ci si tiene molto a sottolineare le radici cristiane dell'Europa..) che assorbisca tutte le altre culture...risultato: no multiculturalità, si uniculturalità!

- "Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo. Mentre su quest’ultima un vero dialogo non è possibile senza mettere fra parentesi la propria fede, occorre affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo. Qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari."
Ovvero, dialogo presuppone che tutti i "dialoganti" siano sulla stessa base? Non è possibile! Noi abbiamo la Verità! Quindi trasformiamolo in una conversazione nella quale "noi" stiamo sulla cattedra e da lì bacchettiamo tutte le imprecisioni delle altre presunte religioni...insomma torniamo allegramente all'epoca dell'apologia...

- " [...] la parabola dell’etica liberale. Ella mostra che il liberalismo, senza cessare di essere liberalismo ma, al contrario, per essere fedele a se stesso, può collegarsi con una dottrina del bene, in particolare quella cristiana che gli è congenere, offrendo così veramente un contributo al superamento della crisi."
Con liberalismo intende la dottrina del mercato che si regola da sé, del laissez faire, ovvero del "capitalismo"? Perché se la risposta fosse si, allora sarebbe divertente collegarlo con una dottrina del bene..."Capitalismo cattolico"...brividi...e non ci saranno più credit crunch...o nel caso ci fossero, non vi preoccupate perché il Paradiso è dei poveri!

P.S. il papa, in occasione del credit crunch, sosteneva, se non ricordo male, che tutto ciò fosse al fatto che le persone avessero pensato più ai soldi che a dio...sarebbe interessante provare a far andare i super manager a messa più spesso e vedere se qualcosa cambia nel mondo dell'alta finanza...

Fonte della recensione: http://www.corriere.it/cultura/08_novembre_23/lettera_papa_benedetto_f01cee2c-b93f-11dd-bb2c-00144f02aabc.shtml

Salvo Di Rosa




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venerdì 14 novembre 2008

In nome del popolo italiano...

Ci siamo. Dopo più di 7 anni è arrivato il momento della sentenza! Ieri l'ho attesa tutto il giorno aspettando di leggere l'esito su corriere.it (l'unico legame con la realtà italiana). L'ho letta oggi... e sinceramente non mi aspettavo questo "risultato" (fra virgolette poiché non ottenere niente di significativo non dovrebbe essere considerato un risultato...)... Altro che pessimismo cronico, siamo alla frutta...
Comunque ricopio un articolo del Corriere perché non me la sento di parlarne, mi vengono i conati...

La rabbia in tribunale Le stesse persone, gli stessi cori della notte del blitz
Quel senso di ingiustizia che torna dopo sette anni

DAL NOSTRO INVIATO GENOVA — «Vergogna, vergogna». Come sette anni fa, davanti ai cancelli di quella scuola. Con le stesse persone, gli stessi cori, in più soltanto la stanchezza e la frustrazione di una attesa lunghissima e vana. Mancano i lampeggianti e il cordone di carabinieri dagli occhi spaventati che tenevano lontano i no global. Il resto è uguale a quella notte del 21 luglio 2001. L'inizio e la fine, un cerchio che si chiude perfettamente con scene e sgomento identici. La rabbia, «assassini, assassini», qualcuno che cerca di lanciarsi in avanti, un caldo folle, sudore e lacrime sui volti delle vittime definitivamente convinte di aver sbagliato ad affidarsi alla giustizia. Oggi come allora. Due Italie, una sempre più forte dell'altra, come dimostra il sorrisino di superiorità del giudice Barone al partire dei cori, mentre si ritira dopo la lettura del dispositivo che commina tredici condanne, quelle che non contano nulla, 36 anni contro i 108 invocati dall'accusa, sedici assoluzioni. E alle vittime lo sfregio di risarcimenti irrisori (una media di 4.000 euro) rispetto alle richieste delle parti civili (20.000 euro a testa). La sentenza fa a pezzi le tesi dell'accusa. Avvalora in pieno la linea fin dall'inizio proposta dal Viminale, quella delle poche mele marce in un cesto florido e sano. Le condanne sono acqua fresca, sempre e comunque mitigate. Lasciano intravedere una certa riluttanza nel propinarle, e la riduzione ai minimi termini della gravità dei fatti. Ad esempio, il vicequestore Michelangelo Fournier, quello della «macelleria messicana», prende due anni comprensivi di non menzione, con le attenuanti prevalenti sulle aggravanti. Condannato, ma giusto un poco. I magistrati avevano strutturato la loro requisitoria in tre parti.

Il VII Reparto mobile di Vincenzo Canterini, i funzionari accusati di aver firmato falsi verbali di perquisizione, sequestro e arresto, compresi quelli riguardanti le celebri molotov false, e i vertici apicali. È sempre apparso chiaro che il processo si sarebbe giocato sulla parte centrale. Il «taglio» del collegio giudicante è stato draconiano. Colpita solo la base della piramide. Gli unici a pagare davvero per la vicenda delle molotov false, che dovevano essere la prova regina della pericolosità dei 93 no global arrestati alla Diaz, sono stati i meri esecutori della parte iniziale dell'inganno, i soli riconosciuti. L'autista Michele Burgio, alla guida del defender che porta le false prove alla Diaz, il vicequestore Pietro Troiani, ex collega di Canterini, che le prende in consegna. Assolta la pedina seguente, il vicequestore Massimo Di Bernardini, che nel domino dell'accusa costituiva l'anello di congiunzione con la catena di comando di quella notte. Ma le anomalie nella gestione delle molotov cominciano infatti dopo che Troiani se ne spossessa, in un susseguirsi di comportamenti che è lecito definire irragionevoli. Ogni eventuale legame superiore è stato invece reciso: le false molotov furono una libera iniziativa di due oscuri gregari. La prova della colpevolezza dei vertici apicali di quella notte, Francesco Gratteri e Giovanni Luperi, non si è mai formata durante il processo. Ma le firme degli altri funzionari su verbali che attestano il falso sono sempre sembrate l'ostacolo più massiccio alla assoluzione di tutto il gruppo dirigente. In quattro anni e 170 udienze, la difesa non ha mai prodotto un teste che sostenesse la veridicità del contenuto di quei verbali. Nessun testimone. Ma anche qui la scelta dei giudici è stata minimale: l'élite dei funzionari italiani di Polizia si è fatta buggerare in massa dalle poche mele marce dei ragazzi di Canterini, ai quali va evidentemente riconosciuta una sagacia non comune. Fa male vedere un vecchio che urla e piange. Arnaldo Cestaro, 70 anni, una spalla rotta e tre operazioni per rimetterla a posto, inveisce contro lo Stato italiano, in piedi su una poltrona dell'aula bunker. Accanto a lui le altre vittime di quella notte, Lena Zulke, la ragazza tedesca che divenne l'immagine simbolo, una maschera di sangue portata via in barella. E poi tutti gli altri, un avvocato maturo e compassato come Vittorio Lerici che vorrebbe buttare la toga «per la delusione», e quel coro martellante, «vergogna, vergogna», i reduci no global attoniti, Vittorio Agnoletto spaesato come non mai. Il caldo che pulsa alle tempie, le urla, le ferite ancora aperte, il senso di ingiustizia. Come quella notte.

Marco Imarisio
14 novembre 2008

Tratto da: http://www.corriere.it/cronache/08_novembre_14/senso_ingiustizia_genova_g8_9423b8f8-b214-11dd-8d3c-00144f02aabc.shtml

Per un resoconto della sentenza: http://www.corriere.it/cronache/08_novembre_13/diaz_g8_sentenza_a2bf270c-b1c0-11dd-a7b7-00144f02aabc.shtml

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giovedì 6 novembre 2008

Italiani all'estero: soufflè di luoghi comuni



Immagine tratta da: http://digilander.libero.it/magicoferio/archivio2007/guarda/tony.gif

Arriva per tutti il momento di perdere parte della propria innocenza per arrendersi all’evidenza: i luoghi comuni guidano il mondo.
Non serve spostarsi in una città multiculturale, vibrante ed aperta allo straniero come Londra; i tuoi stereotipi ti seguono dovunque. Londra ospita svariate comunità di culture diverse e spesso distanti; moltissimi ogni anno si spostano in questa città per necessità o per carpirne lo spirito, eppure qualcosa rimane immutato. Tra i lavoratori che affollano il settore della ristorazione e gli studenti delle sue Facoltà scaturisce spesso lo stesso “dialogo” permeato di luoghi comuni e comodi stereotipi.

Lungi da me tentare di dimostrare che non esistano casi evidenti e meritevoli di collaborazione interraziale e interculturale, ma un fenomeno cala come spada di Damocle sulle teste degli ospiti londinesi. Che luoghi comuni incontra l’italiano che arriva a Londra? Come viene etichettato il siciliano migrante in cerca di istruzione?
Parte della nostra storia ci rincorre anche qui, anche in un luogo che potrebbe ritenersi “neutro”.

In molte delle Facoltà londinesi si studiano culture complesse e intrise di storia e tradizione: la musulmana, la cinese, la giapponese e molte altre che sono ritenute “culture di minoranza” ed in quanto tali da proteggere.
Tra paradigmi d'integrazione e political correctness si tenta di non affibbiare ad un’etnia un marchio che la possa in alcun modo denigrare. In questo la diplomazia insita nella cultura inglese è straordinariamente efficiente: garantisce a tutti, almeno in linea teorica, il diritto all’integrazione e alla ricerca, con un po’ di fortuna e virtù, di un futuro roseo da costruire in questa città.

Cosa turba dunque questo perfetto meccanismo? Scavando poco sotto la superficie si incontra un luogo comune noto a quasi tutti gli italiani che abbiano avuto la fortuna di spostarsi all’estero: l’italiano è mafia, pizza e politica in stato di degrado.
Si potrebbe dire che non c’è niente di totalmente falso in queste affermazioni, ma il candore e l’assoluta spensieratezza con la quale sono pronunciate brucia nel profondo l’animo di chi, consapevole dei compromessi da affrontare rimanendo sul suolo italiano, ha deciso di spostarsi altrove.
Ma quello che desidererei portare all’attenzione di tutti è la concezione comune del siciliano. Pare quasi scontato dire che questi è a maggior ragione vittima dei luoghi comuni, talvolta meritatamente, talvolta meno.

Il siciliano non è ritenuto una minoranza seppure abbia subito secoli di domini, seppure la sua cultura e tradizione scompaia sotto il peso della corruzione e dell’oblio, seppure anche in suolo italiano stenti a mantenere un’immagine positiva. Il siciliano non è una minoranza perché è parte della cultura dominante, la sua autocritica permette agli esponenti di altre culture di candidamente sottolineare momenti bui della sua storia. Il siciliano non ha alcuna difficoltà a spostarsi all’interno dell’Europa e la giusta compensazione per tale fortuna è la mancanza di ritegno di molti altri stranieri nell’etichettarlo.

A cosa serve nel XXI secolo ricordare all’italiano che Mussolini ha condizionato la sua storia? Non c’è forse stata anche una forte tradizione partigiana? A cosa serve ricordargli che la mafia è viva e vegeta anche oggi, gli anni bui della Democrazia Cristiana, la corruzione e il suo misero presente? A cosa serve ricordare all’italiano che dovrà probabilmente emigrare perché la sua università sarà distrutta nel profondo? A chi giova ricordargli che contese razziste si consumano nel territorio italiano macchiato del sangue di chi l’Italia l’ha fatta?
A niente, specie se tutto ciò che si ricava da questi mementi sono solo critiche da quattro soldi con l’unica funzione di aggiungere colore folkloristico all’immagine dell’italiano, al pari dell’ulivo saraceno, il cannolo, il fico d’india e il marranzano siciliano.

A chi si chieda se questo è un modo per martirizzare il povero italiano controbatto subito che non c’è nessun premio che l’italiano medio meriti oggi. Tuttavia, come ogni altra storia e cultura quella italiana non merita forse di essere studiata nel profondo prima di essere etichettata sotto facili paradigmi? Si dimentica facilmente che anche oggi c’è una resistenza silenziosa o meno al degrado, che per ogni giornalista noto che si svende, molti altri lavorano nel sottosuolo culturale italiano.
Qualcuno potrebbe giustamente ribattere che l’italiano, e in particolar modo il siciliano, attua esattamente lo stesso processo contro gli ospiti immigrati.
Ebbene questo non giustifica la generalizzazione, specie se per ogni caso c’è sempre un’eccezione. E’ necessario anche sottolineare che in Italia si investe ben poco in promozione della cultura italiana e che il passato e presente letterario e storico italiano passa molto più spesso di bocca in bocca. Non è tuttavia inaccettabile pensare di giudicare qualcosa che si conosce solo parzialmente?
Tentare di estrarre dalla storia di secoli avvenimenti dei quali non tutti gli italiani (o almeno diamo per scontato sia così) sono fieri non è forse come pensare ai tedeschi come il popolo che ha permesso lo sterminio degli ebrei, agli americani come Bronx e pistole, ai brasiliani come Favelas, donne discinte e promiscuità e ai musulmani come poligami e terroristi? Queste culture complesse sono strumentalizzate nella cristallizzazione della loro immagine peggiore.
Il paradigma del nemico, del diverso, del guerrafondaio, del discinto è facilmente sfruttabile ai peggiori scopi.
Seppure solo una minoranza dovesse pensare all’italiano in termini di mafia, pizza e politica in degrado, non è proprio quella minoranza strisciante che condiziona l’opinione pubblica? Quanto è difficile in termini pratici convincere un altro straniero che ogni italiano sia mafioso e ogni musulmano terrorista? Poco, pare. Il fatto che questa opinione da quattro soldi circoli per bocca di studenti acculturati di prestigiose Facoltà è incredibilmente pericoloso.

Non parlarne affatto è dunque la conclusione perfetta? No, se si ci premuri di essere informati sulle cause, gli effetti e le eccezioni o se si sia perlomeno disposti a cambiare la propria idea. Se qualcuno, come nel mio caso, si premurerà di sottolineare che non c’è nulla di sensato nel trarre facili conclusioni sulla nostra storia un sorriso benigno apparirà sulla faccia dell’interlocutore o nel migliore dei casi un lungo silenzio imbarazzante.

Bruna Scuderi


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sabato 26 luglio 2008

Bolzaneto: una testimonianza sulla quale riflettere

Immagine tratta da: www.riminitouring.com/public/wp-content/uploads/2007/06/genova_g8.jpg

Ci scusiamo con tutti i lettori per la nostra prolungata assenza, ma incombenze varie hanno assorbito tutte le nostre energie. Speriamo di ritornare produttivi il più presto possibile e ringraziamo tutti coloro che hanno continuato a seguirci nonostante la nostra assenza "temporanea".
Quello che oggi vi proponiamo è un documento che rappresenta un tristissimo stralcio della recente storia italiana. Vi invitiamo a leggerlo e meditarvi su, affinché anche questo frammento non cada nel dimenticatoio come spesso avviene.
Segue l'articolo pubblicato sul blog di Beppe Grillo il 24 Luglio 2008.

" In Italia non c'è (ancora) la pena di morte, ma c'è il diritto alla tortura. Il reato di tortura non è previsto dal nostro codice penale. A Bolzaneto sono stati picchiati, minacciati, torturati dei ragazzi inermi. Se i responsabili materiali sono almeno sottoposti a un giudizio, i responsabili politici sono per sempre in salvo, al governo e alla Camera. Loro non saranno mai processati.

"Mi chiamo Giorgia sono di Padova, 7 anni fa avevo 20 anni, sono stata al G8, sono partita in realtà pensando di visitare una città che non avevo mai visto, in cui c'era un mare, di spassarmela coi miei amici, poi invece mi sono ritrovata in una manifestazione enorme che sembrava più ad una guerra. Mi sono trovata in mezzo ai black block, cassonetti bruciati macchine che saltavano in aria guerriglia urbana, io non ero abituata non avevo mai fatto una manifestazione così grande, sabato penultimo giorno di manifestazione dopo la morte di Carlo Giuliani, stavo andando a cercare di recuperare il mio zaino, e mi sono ritrovata in mezzo a un cordone, che è stato spezzato in 2 dalla polizia, quindi la gente ha cominciato a scappare chi a destra chi a sinistra io ho avuto la sfiga di girare a sinistra e lì la polizia ha cominciato a dirigersi verso di noi ha cominciato a picchiarci e ci ha portato in piazzale Kennedy. In piazzale Kennedy c'era pieno di polizia ci hanno chiesto la carta d'identità e non ce l'hanno più ridata. Ci hanno caricato su una furgonetta, ci hanno portato alla fiera, presso la sede dei Carabinieri dove hanno cominciato ad insultarci, dicendo che dovevano stuprarci come facevano in Kosovo, che eravamo tutte troie e varie cose del genere…
Dopodiché siamo rimasti lì non so quante ore, ci hanno chiuso i polsi con delle manette di plastica io nella furgonetta ero seduta dietro c'erano altri ragazzi che mi dicevano non ascoltare, lascia stare perché.. mi hanno dato manganellate, sulle gambe sulle braccia e sulla schiena Io stavo con le mani in alto, penso che la mia foto si sia vista ovunque, su giornali e tg, con le mani in alto e con un fazzoletto sulla testa per i lacrimogeni dietro di me c'era un ragazzo marocchino che non so se è ancora vivo, ci hanno portato a Bolzaneto, siamo rimasti in piedi nella stessa posizione, hanno cominciato a picchiare i ragazzi che erano vestiti di nero, li hanno fatti inginocchiare a file di 3, gli hanno fatto cantare "Faccetta nera" gente che non capiva perché inglese quindi se le prendeva e basta, hanno spruzzato spray al peperoncino dentro le celle, ci veniva da piangere ma non potevamo piangere non potevamo parlare non potevamo fare niente.
Ad un certo punto io mi sono seduta perché non ce la facevo più e c'era un altro ragazzo di fianco a me che era di Verona che se vede questo video per favore mi contatti lui era veramente distrutto perché stava gocciolando sangue, lui non riusciva a stare in piedi ma loro non lo lasciavano stare seduto… poi c'erano un sacco di altri ragazzi, gente che arrivava col piede rotto, che non poteva stare in piedi ma ci doveva stare lo stesso, chi aveva bisogno di un medico per l'iniezione di insulina ma nessun medico poteva entrare quindi si sentivano grida di dolore continuamente, c'era un tipo in carrozzella che pure lui era stato picchiato... insomma una serie di cose molto disumane, alla fine non so dopo quanto tempo ci hanno preso le impronte digitali, ci hanno messo insieme a caso dicendo "a questi cosa gli diamo?" l'altro poliziotto che gli rispondeva "ma si mettigli un po' di tutto, devastazione saccheggio e offesa a pubblico ufficiale" tutte accuse che io non sapevo nemmeno cosa fossero, non potevo chiedere perché se chiedevo mi rispondevano che dovevo stare zitta.
Dopo un tempo interminabile ci hanno preso a gruppi, ci hanno ammanettato ci hanno portato in carcere a Varese. In confronto il carcere è stata una passeggiata perché i funzionari del carcere sapevano che era temporaneo che non avevamo fatto nulla perciò saremmo stati scarcerati in breve, ci trattavano meglio: ci davano da mangiare, certo non è stata una bella esperienza.. poi ho avuto la fortuna che la mia richiesta d'arresto è arrivata troppo tardi rispetto ai tempi giudiziari utili, quindi dopo 4 ore di carcere mi hanno lasciata andare. Alla fine mi sono costituita parte civile al processo, ho testimoniato e riconosciuto tutti coloro che dovevo riconoscere, è stato emozionante e basta, non voglio più andarci in un'aula di tribunale per nessun motivo.
La difesa della polizia cercava di screditare tutto ciò che stavo dicendo, ma pur essendo emozionata avevo detto cose che risultavano vere sia al pm che agli altri ragazzi. 10 minuti prima della nostra udienza, mentre attendevo il mio turno in tribunale, ho incontrato il ragazzo che è stato con me in caserma ci siamo guardati e ci siamo riconosciuti.
Ma durante il processo hanno cercato di screditare ciò che io raccontavo perché credevano mi fossi accordata con lui ma in realtà non era così, insomma si sono impegnati abbastanza anche con gli altri testimoni per cercare di screditare le nostre versioni dei fatti. Ora non vivo più in Italia, quindi non sono riuscita ad assistere all'udienza finale del processo, a me è stato soltanto detto com'è finito, cosa in caso abbiamo diritto però non so esattamente chi sia stato imputato chi sia stato, cosa gli abbiano fatto e chi no, però certamente, questi poliziotti solo per il fatto che sono poliziotti non passeranno mai tutto quello che hanno fatto passare a noi, perché il problema è che loro essendo protetti dallo Stato hanno una marcia in più, quindi in carcere non ci finiranno mai, nessuno li torturerà mai come hanno torturato noi, va bene io non sono per la vendetta quindi non sto dicendo che dovrebbero trattarli allo stesso modo, tuttavia pignorargli un po' di stipendio non mi sembra la stessa cosa, vorrei solo che i poliziotti, mandanti e quelli più crudeli coinvolti nella vicenda, non ricoprissero più la funzione, per il bene della credibilità delle forze dell'ordine, sia perché se si sono macchiati di certe cose non ha neanche più senso che si schierino dalla parte della giustizia." Giorgia Partesotti "

E concludo riportando come Amnesty International si è espressa riguardo gli avvenimenti del G8 di Genova: " La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale. "


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giovedì 27 marzo 2008

Acci-picchia, questo è un mondo fantastico!




C’era una volta una bambina dalle guance rosse che viveva in una baita insieme al nonno e ad un cane. Trascorse un’infanzia meravigliosa immersa nella natura e nel genuino ambiente montanaro. Visse in un luogo fuori dal tempo, uno di quei posti nei quali i valori resistono ancora e gli abitanti, anche se un po’ burberi, hanno il cuore d’oro.
Trascorse l’infanzia con Nebbia (l’inseparabile cane) e Peter, amico di mille avventure.
Il nome di questa bambina è Heidi.
Dopo quasi vent’anni dall’abbandono di tale luogo, Heidi decise di tornare alla baita per fare una visita all’amato nonno che non vedeva da tanto tempo. Appena arrivata in paese notò che tutto era rimasto esattamente come lo aveva lasciato. La bottega di Franz aveva sempre quell’aria un po’ disordinata che tanto le piaceva e le donne andavano ancora a prendere l’acqua alla fontana pubblica.
Dopo un’ora di cammino incontrò Peter. Fu felicissima di poterlo riabbracciare, ma osservandolo percepì una strana sensazione. Fu soprattutto disorientata dal suo aspetto fisico: Peter dimostrava molti più anni di quanti ne avesse in realtà. Il suo aspetto era quello di un quarantenne, piuttosto che di un trentenne.
Peter le riferì che il “vecchio dell’Alpe” (l’affettuoso nomignolo che gli abitanti del paese avevano dato al nonno) abitava sempre presso la baita e la stava aspettando impaziente già da qualche giorno. Heidi salutò Peter e si diresse verso la baita.
Anch’essa era intatta. Un’emozione riempì il suo cuore e una lacrima rigò la gota. Il nonno era esattamente come lei avrebbe voluto che fosse: identico, ma con qualche ruga in più.
Parlarono molto, discussero di tutto ciò che Heidi aveva fatto in quegli anni spesi lontano dalla baita, e del suo tanto amato paesino. Alla fine Heidi chiese al nonno di raccontarle la storia della sua infanzia, poiché alcune parti le risultavano un po’ oscure, difficili da decifrare. D’altronde, al tempo, era soltanto una bambina.
Il nonno le raccontò che i suoi genitori morirono in un tragico incidente e che, in seguito, fu affidata alla zia Dete, la quale la accudì per qualche anno. Poco dopo Dete trovò un posto da centralinista precaria a Francoforte e decise di trasferirsi subito laggiù. Ma lo stipendio non bastava a far vivere dignitosamente due persone, nonostante tentasse di arrotondare facendo la badante, e dovette affidare Heidi all’unico parente ancora in vita: il fratello. In effetti il “nonno” era uno zio di Heidi, ma la bambina, vedendolo un po’ canuto, lo aveva chiamato da subito nonno, e a lui non era dispiaciuto. Il vecchio le raccontò che era sempre apparso più anziano di quanto in realtà fosse, poiché aveva da sempre svolto lavori usuranti. Infatti aveva sgobbato per tantissimi anni come manovale in una di quelle imprese che hanno centinaia di dipendenti, ma un giorno le cose cambiarono. Aveva sempre accettato malvolentieri quel curioso metodo di ingaggio che garantiva un precariato a tempo indeterminato, prevedendo la divisione dell’intero anno lavorativo in due parti: la prima con un regolare contratto e la seconda in nero. Era stato per anni rincuorato da quel «Tanto ci pensa lo Stato a darvi l’indennizzo di disoccupazione!», ma un giorno decise di opporsi a quel subdolo meccanismo di sfruttamento e chiese aiuto ad un sindacalista.
Forse a causa delle ridotte dimensioni del paesino, i datori di lavoro vennero immediatamente a conoscenza delle sue intenzioni e lo licenziarono in tronco.
Allora, stanco di essere sempre vittima di prevaricazioni, salì sulla montagna e rimase lassù, vivendo come un eremita per una parte della sua vita. Per anni si procurò da solo i mezzi per la propria sussistenza.
E fu proprio allora che gli abitanti del paese cominciarono a chiamarlo “il vecchio dell’Alpe”, considerando un po’ suonato e po’ burbero.
Ma poi arrivò Heidi e quei pochi soldi ricavati dalla vendita della lana e del formaggio non potevano certo bastare a sfamare ben tre bocche. Quindi il “nonno” decise che forse era il caso di mettere da parte l’orgoglio e ridiscendere in paese per cercare un lavoro più redditizio. Vista la sua esperienza pluriennale nel campo dell’edilizia, decise di provare a farsi assumere come manovale da qualche ditta. Ma nessuno volle un pianta grane come lui. Quindi si rimboccò le maniche e cominciò a studiare per partecipare a qualche concorso. «Ecco perché il nonno rimaneva fino a tardi davanti a quei fogli» pensò Heidi.
Provò parecchi concorsi, classificandosi sempre fra le prime posizioni dei non-scelti.
Il meccanismo di selezione doveva essere senz’altro curioso, considerato che veniva scavalcato in graduatoria da altri partecipanti che non apparivano proprio dei geni; ma lui non aveva ancora imparato a rassegnarsi all’evidenza.
Un giorno la zia Dete fece visita al nonno e ad Heidi.
«Sei un testone! Devi smetterla con questi ideali, hai cinquantacinque anni oramai...mica sei un adolescente! Heidi viene via con me! Solo una persona con i piedi per terra può darle un futuro! Ci si sfama con i soldi, mica con gli ideali» disse la zia Dete.
Quindi Heidi la seguì a Francoforte. E fu condotta nella casa di Clara, la figlia invalida di un benestante del luogo, per essere istruita dalla signorina Rottenmeier come dama da compagnia per la ragazzina. Nel frattempo il nonno aveva capito, alla tenera età di cinquantacinque anni, che gli ideali non sono commestibili e decise di fare il grande passo: cominciò a frequentare la sede di un influente partito politico.
Fortunatamente a breve erano prevista una tornata elettorale. Il “nonno” non ebbe bisogno di studiare a lume di candela e neanche di essere preparato come le altre volte; gli bastò avere le conoscenze giuste. Lui votò l’onorevole Schultz e l’ultimo seppe ripagarlo... Ottenne un bel posto da collaboratore scolastico con ferie pagate, tredicesima e quattordicesima. E per il futuro? Ottenuto il lavoro gli bastò continuare a fare la scelta giusta.
Forte del suo nuovo reddito fiammante, il “nonno” si riprese la piccola Heidi che, nel frattempo, era caduta in depressione a causa del grigiore della vita cittadina e della severità della signorina Rottenmeier. Heidi tornò a casa e lì ritrovò Nebbia, le pecorelle e il nonno, ma non Peter, cosa che la rattristò parecchio. A vent’anni di distanza, il nonno le confidò che Peter era dovuto andare a lavorare come pastore, ovviamente in nero, per aiutare la famiglia in difficoltà.
Heidi e Clara cominciarono a scriversi e, in una di queste lettere, Heidi invitò l’amica a raggiungerla in montagna. All’arrivo di Clara seguirono giorni di giochi e felicità.
Poi, un giorno, il nonno, grazie ai nuovi appoggi politici che gli avevano già fruttato un lavoro, riuscì a trovare a Clara un posto in una prestigiosa clinica privata convenzionata con la Regione. Clara superò tutti gli altri pazienti in lista d’attesa già da qualche annetto, tanto leggiadramente quanto solevano farlo coloro che ingiustamente surclassavano il nonno quando partecipava ai concorsi senza le “conoscenze” giuste.
Dopo qualche tempo Clara tornò alla baita senza più l’ausilio della sedia a rotelle, il padre e la signorina Rottenmeier furono stupiti da questo miracolo e tutti vissero felici e contenti.

Salvo Di Rosa



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domenica 17 febbraio 2008

Vinci 2000 euro subito con un quiz. Cosa stai aspettando?


Sabato, ore 2 della notte, Italia 1.
Lo zapping selvaggio, vero e proprio salvagente appiattisci encefalogramma al quale aggrapparmi nei momenti di studio particolarmente intenso, mi porta sul glorioso canale di Lucignolo e Studio Aperto; quanti bei ricordi, colate di minuti nei quali i miei neuroni stanchi venivano coccolati dalla sofficità dell'informazione eterea di queste imprescindibili testate giornalistiche... ma questa è un'altra storia!
Quindi, mi ritrovo su Italia 1 e vedo:

  • numero 1 monitor,
  • numero 1 ex allievo della scuola di Maria De Filippi riciclato in veste di pseudo-conduttore umoristico,
  • numero 2 pseudo-veline (ma col dono della parola, anch'essa soffice ed eterea, ma dal tono un po' troppo squillante),
  • numero 1 striscia in sovrimpressione che riporta una golosa vincita di 1000 euri e una scritta velocissima riportante un numero 163 etc etc al modesto costo di 1,20 euro (IVA incl.) da telefono da telefono fisso e 1,86 euro (IVA incl.) da cellulari TIM.

I conduttori incitano il povero ragazzo/a che è stato/a ammaronato/a dagli amici o che non è andato in discoteca a chiamare al numero 163 etc etc per partecipare a questo gioco.
“I tuoi amici saranno pure usciti a divertirsi...ma TU puoi vincere ora 1000 euro...cosa aspetti chiama subito!”
I conduttori spiegheranno che chiamando al numero suddetto si dovrà rispondere ad una domanda iniziale, qualora la risposta fosse corretta verrai sottoposto ad altre 5 domande. Se arriverai fino alla fine avrai la possibilità di essere estratto per andare in diretta, risolvere il giochino e portarti a casa il malloppo!

L'immagine visualizzata all'inizio del post è l'esempio di uno dei quiz proposti. La domanda è: “Diteci la somma di TUTTI in numeri presenti nell'immagine!”.
In un primo momento pensò: semplicissimo, 935+1010+2+1=1948. SBAGLIATO!
La notte avanza, lo share diminuisce e quindi i conduttori attuano delle contromosse.
Montepremi che improvvisamente sale da 1000 euri a 1500 euri, tutto questo solo grazie all'intercessione della splendida velina che già si sente Santa Lucia per aver operato questo miracolo incredibile.
Secondo troncone dell'operazione “combattiamo lo share calante”: gli aiuti cominciano a moltiplicarsi. “Diteci la somma di TUTTI in NUMERI presenti nell'immagine!”
Che scemo! Certo, il 935 e il 2 sono scritti in lettere. Semplicissimo, 1010+1=1011! SBAGLIATO!

Arrivano inesorabile le 3 della notte, il quiz show sta per terminare. Bisogna dare l'ultimo sprint o si rischia il tracollo di chiamate... Il montepremi si impenna a 2000 euri! Ovviamente grazie all'intercessione della velina n.2.
Inoltre parte il suggerimento “Attenzione al 1010...è un puzzone...sembra un 1010, ma potrebbe anche essere qualcos'altro...insomma, basta, lo diciamo POTREBBERO essere due 10...”
Giusto! Allora la somma di tutte i numeri, considerando tutte le possibili combinazioni....
1010+10+10+1=1031! SBAGLIATO!
Nessuno riesce ad indovinare e i concorrenti sembrano sparare numeri senza raziocinio: 6178, 7, 125, 1923. Allora, all'ennesimo 1235, una delle due veline si arrabbia “ma come fate a dire 1235!!! Abbiamo un 1010 e un novecentotrentacinque!! La somma NON PUO' essere inferiore al 1900...”
Mannaggia, allora non ho capito niente finora, ho fatto calcoli troppo astrusi. Se la conduttrice ha conteggiato il numero trascritto in lettere nella sua somma-rimprovero, allora vuol dire che si può fare!
Quindi...1010+935+2+1+10+10+9+3+5=1985! SBAGLIATO!
Allora...1010+935+2+1+10+10+1+1+9+3+5+93+35=2115! SBAGLIATO!
Mentre il mio cervello era già arrivato a 30000 rpm, leggo all'interno della striscia in sovrimpressione (quella riporta una golosa vincita di 1000 euri e una scritta velocissima riportante un numero 163 etc etc) scorgo il sito internet del quiz.

Mollo il quiz show e mi fiondo sul pc. Leggendo il regolamento noto che “[...] acquistando il gioco verrai messo in contatto con un sistema vocale che ti fornirà le istruzioni e le indicazioni per procedere nelle varie fasi del gioco.[...] Il gioco inizierà con una domanda d'ingresso; se risponderai correttamente potrai entrare nel "Camerino Virtuale" e iniziare la tua scalata. In caso di risposta errata il gioco terminerà automaticamente.
Acquistando il gioco "Camerino Virtuale", indipendentemente dall'esito delle tue risposte, potrai partecipare all'estrazione di Fotocamera (tralasciamo la marca) [...] alla settimana.
Inoltre, tra tutti coloro che porteranno a termine la giocata rispondendo correttamente a tutte le domande poste dal sistema, verrà estratto il vincitore di una Videocamera tralasciamo la marca) [...] alla settimana.
[...] Inoltre nel corso della diretta televisiva del programma "THE BOX GAME" in onda nelle giornate di sabato e domenica dalle ore 01.00 alle ore 03.00 circa su Italia 1 tutti gli utenti che acquisteranno il prodotto/gioco in questa fascia oraria potranno aggiudicarsi un ulteriore premio.
[...] Nel corso del programma sarà data la possibilità agli utenti, risultati i migliori, cioè coloro che sono rimasti nel camerino virtuale da più tempo, di partecipare al programma in diretta telefonica e vincere un premio in caso di risposta corretta. Il numero delle chiamate che passeranno in diretta televisiva varieranno di puntata in puntata a discrezione della società promotrice.

Ok... mi sembra che tutto venga affidato un po' troppo al fato... ma bisogna sottolineare, ad onor del vero, che questo quiz sembra essere molto più eticamente corretto dei cloni trasmessi sulle reti locali. Infatti sono presenti alcuni meccanismi che evitino lo sciacallaggio delle tasche dei concorrenti, come il fatto che il ”costo del prodotto/gioco è di euro 1,20 centesimi IVA inclusa (indipendentemente dalla durata della chiamata) [...] dalla telefonia fissa TELECOM, [...] mentre se il gioco sarà acquistato dalla telefonia mobile TIM il costo sarà di euro 1,86 centesimi IVA inclusa (indipendentemente dalla durata della chiamata)”.

Nonostante tutto l'Antitrust ha aperto un'istruttoria ”a carico di Mediaset, o meglio del suo comparto produttivo RTI, per pubblicità ingannevole in relazione a The Box Game, il game show notturno di Italia1”, lo annuncia la ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori) "che vede così accolta la propria richiesta di far luce sul meccanismo del gioco, che ha comportato per molti partecipanti, o aspiranti tali, salatissime bollette telefoniche." Infatti la ADUC specifica che la "partecipazione e' sottoposta ad una serie di condizioni e soprattutto all'arbitrio/discrezione della società promotrice, che (regolamento alla mano) potrebbe non far passare alcuna telefonata in diretta."

In conclusione, il quiz sembrerebbe più pulito di quelli sconcertantemente “truffaldini”delle reti locali, ma nella puntata da me vista nessuno ha indovinato la soluzione e c'è una un'istruttoria dell'Antitrust a carico di questo quiz show...
In sintesi direi: questo quiz show, Mediaset e tutti coloro che sono coinvolti nella realizzazione di questo programma sono innocenti fino a prova contraria, ma IO eviterei di parteciparvi visti i dubbi sollevati da più parti e l'indagine dell'Antitrust.

Ecco i link che documentano le informazioni citate o nel post:

Salvo Di Rosa




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venerdì 25 gennaio 2008

Solo amarezza e disillusione...

Tutte le foto sono prese da corriere.it

Come commentereste questa foto??
Dopo questa crisi di governo con sputo annesso...


... e malore dovuto a tradimento del feudo, rinfacciato in un clima da suq arabo (citiamo Montezemolo)... speriamo che gli arabi non ci querelino visto che l'analogia è un po' infamante, ovviamente per loro! ....



'' Un atteggiamento «deplorevole, da traditore» quello di Nuccio Cusumano in Aula. «Ma non l’ho offeso». Tommaso Barbato parla così del collega di partito aggredito a Palazzo Madama . «Gli ho detto che è un traditore, è quello che penso - dice il capogruppo dell’Udeur-, ma non gli ho sputato e non ricordo di averlo offeso». L'accusa di aver sputato al collega Cusumano era stata rivolta dal presidente della commissione Difesa al Senato Sergio De Gregorio. «Barbato è arrivato e gli ha sputato in faccia. A quel punto, Cusumano si è sentito male, piangeva e poi è svenuto», ha raccontato De Gregorio '' (citiamo corriere.it) ...
... noi pensiamo di ritirarci in un letargo lungo cinque anni... giusto il tempo di un altro governo di centrodestra... deliziatevi con questo video... noi ci prepariamo ad emigrare...




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